Un anello magnifico intorno alla piana dei Biscurri

Cima Biscurri, monte Tartaro, monte Meta ed il suo Gendarme


Il cuore e la mente si placano ed entrano in sicronia; basta un po’ di tempo libero, una paesino molisano al confine con l’Abruzzo, gente semplice che quando ti incontra sorride e ti saluta ed una natura imponente in perfetta simbiosi con l’uomo. Questa volta mi sono preso il tempo, ho voluto che il tempo fosse dalla mia parte; ho prenotato due notti in un grazioso quanto comodissimo B&B a Pizzone ,un appartamento per dirla tutta, completamente indipendente in cui non manca nulla, Il Parco dell’Orso. Pizzone è un grazioso e spartano paese arroccato sulle montagne che anticipano le Mainarde meridionali, l’ultimo paese molisano prima di Alfedena e quindi l’Abruzzo. Mi sono fatto ispirare da quella che in questo momento è diventata una classica del Club2000, Cima Biscurri, ultima new entry , insieme ad un cospicuo numero di altre montagne, della lista da collezionare; un’occhiata alle carte e ne è scaturito un anello meraviglioso intorno alla omonima piana, fino al Tartaro, fino al Meta e visto che ero lì fin sopra il ruvido suo Gendarme, altra vetta ormai battutissima dai soci del Club2000. Dormire sul posto, sapere che il giorno successivo il tempo sarebbe stato amico e non tiranno come al solito stava dilatando la sensibilità ed il contatto con le montagne che erano intorno. Era come entrarci a far parte e non come sempre sentirsi incursori fuggevoli. La passeggiata nel paesino a cercare di capire i suoi caratteri e la sua storia, i sorrisi delle persone che incontravamo, due chiacchiere a rispondere alle loro curiose domande, si accorgevano che eravamo “foresti” e si leggeva negli occhi l’orgoglio per il loro paese, per le loro montagne e perché eravamo lì esattamente per vivere il tutto. Gente buona ed ospitale questa molisana, la stessa generosità della natura di questo spicchio di Appennino che la ospita. Approfittando delle comodità che ci siamo dati la sveglia è tardi, alle 6, la colazione è comoda e vera, a casa, da Pizzone una bella strada, l’unica che attraversa il paese, risale la valle ed un magnifico bosco proprio sotto la rocciosa sagoma di monte Mare, in venti minuti, tanti quanti sono i tornanti che si avvitano lungo la salita, ci fa arrivare al primo pianoro, Valle Fiorita, poco oltre, un paio di chilometri, raggiungiamo pianoro Campitelli dove parcheggiamo ed individuiamo subito l’ampio sentiero “L1” che dovremo percorrere (attenzione ad alcuni segnali L4 che sono forse ridondanze del passato). Dal piazzale del pianoro a 1440mt., il sentiero inizia là dove c’è un bel divieto a proseguire, dopo lo steccato, poco oltre un crocifisso desta ricordi alpini dove è molto più facile incontrarli. Per il pianoro Biscurri il sentiero, appena entrato nel bosco inizia leggermente a salire, vira subito a sinistra, poco prima un bivio a scendere introduce al sentiero L3. Da questo incrocio in poi non ci si può più sbagliare, prima il sentiero è una carrareccia con frequenti tracce gommate, poi ben presto diventa un filo di calpestio a tratti quasi irriconoscibile per il tappeto di foglie che lo ricopre. Il bosco rado e ordinato, dalla volta altissima è arioso e fresco, il CAI locale ha segnato sapientemente il sentiero, sui tronchi le bandierine bianco rosse sono state lesinate quel tanto che basta per rendere sicuro ma non banale seguirlo. Pieno è invece il bosco di indecifrabili codici riportati sui tronchi più grossi; linee e numeri gialli e blu, forse una lingua del parco e dei boscaioli per darsi istruzioni sulla manutenzione del bosco stesso? Poco più di un ora di comodo cammino serve per uscire dalla verde volta intorno ai 1700 metri; l’uscita è clamorosa, il cielo blu e il verde brillante del tappeto erboso fanno da cornice solo alle guglie delle cime che dobbiamo raggiungere, dalle tonde linee del piano spuntano solo le rocciose vette delle montagne , cima Biscurri è uno scoglio sulla nostra destra, il Meta ed il suo Gendarme, di fronte, sanno di montagna grossa, è la seconda volta nel giro di un’ora e mezza che risento richiami alpestri. Sono iniziati i prati e sono iniziate le fioriture di tantissime tipologie di fiori, un tripudio di stupendi colori macchiano e contrastano il verde ancora intenso dell’erba, sarà una costante della giornata fin sotto le vette. Per un tratto seguiamo il sentiero che qui diventa un viottolo ben marcato, fin sopra i primi promontori del piano, da dove è ormai chiara la configurazione del mondo che ci circonda e dell’intero anello che da qui andremo a compiere. La dorsale del monte Miele alla nostra sinistra è ripida ed erbosa, chiude il catino del piani dei Biscurri verso Sud e fila regolare fin sotto al Gendarme del Meta; il sentiero L1 la segue parallela e si perde nelle rocce del ruvido bastione. Davanti, verso Ovest scorre la lunga cresta che unisce il Meta al Tartaro da dove si scosta la dorsale a chiudere il catino e che pigra scende fino alla cima Biscurri (il nome dal piano sottostante) anche chiamata La Vedetta (dal nome del rifugio sottostante che non sono riuscito a vedere), nomi assegnati ufficiosamente dal Club2000 ma che sulle carte sono semplicemente una quota a 2007 mt, senza nome. In mezzo una serie infinita di rotondità che formano il piano Biscurri che fanno sentire male al solo pensiero di doverle affrontare. I racconti e le relazioni di chi ha già salito questa montagna parlano di attraversamento in diagonale del pianoro e della successiva salita sul ghiaione ad Ovest della vetta; a noi di getto intriga una linea naturale che sale di traverso fin sulla cresta Est, un ghiaione breve oltre il bosco che sotto una guglia si perde nei primi contrafforti erbosi della cresta; non dovrebbe essere complicato superalo. Traversiamo il piano verso la montagna, ci infiliamo in un tratto di bosco intricato in mezzo ad un dedalo di avvallamenti e siamo sotto il ghiaione; grossi roccioni facili da superare fanno da argine al pietrisco del fianco della montagna, di certo non abbiamo avuto un’idea originale, segni di qualcuno che è salito di lì ci sono. Lenti ma costanti con le consuete difficoltà dei ghiaioni superiamo i duecento metri circa di dislivello senza accorgercene arrivando alla cresta erbosa che ora sale per alcuni tratti ancora più ripida. Superba è la vista di tutto il piano fino al Meta, da sopra il monte Miele sfila la lontana cresta fino al monte a Mare e dietro anche la inconfondibile sagoma del Miletto. Una distesa di bosco lussureggiante si perde fin tanto che l’occhio vede, oltre l’imbocco del piano da dove siamo arrivati, interrotto solo dalla piana di Val Fiorita e più giù ancora dal profilo turchese del lago di Castel San Vincenzo, linee di montagne minori si susseguono e si perdono nell’azzurro della caligine all’orizzonte. Per non affrontare il ripido pendio continuiamo traversando verso Nord fino a scoprire l’altro versante da dove un altro occhio turchese si stacca dalla volta boschiva; è il piccolo lago della Montagna Spaccata, poco sotto si intravede Alfedena e dietro a tutto la mole del monte Chiarano fino alla vetta ancora imbiancata del Greco. La vetta di cima Biscurri è lì a breve distanza, si eleva dalla ampia cresta sommitale come uno scoglio roccioso bell’apposta messo lì per noi che dei 2000 facciamo collezione. Non Cima Biscurri ma La Vedetta è riportato su una pietra dell’omino su cui è conficcato un ramo che sostiene due piccole bandierine tibetane. Una bella montagna che domina il parco, le Mainarde a Sud e fino al Petroso, lo Immmiccio, il Marsicano verso Nord. Due camosci sfilano in basso rincorrendosi. Da lì a poco veniamo raggiunti da un gruppo di tre che hanno seguito la nostra stessa linea di salita, poco dopo sono quattro quelli che salgono dalla parte opposta seguendo quella che è la traccia più classica alla vetta. Un incontro del tutto casuale quanto estremamente caloroso e gioioso; uno degli scudetti sui nostri zaini ha destato l’attenzione di non so chi, ho sentito solo “ma sei del Club 2000?” Fino a scoprire che eravamo più o meno tutti lì per lo stesso motivo; Mirko Pastore con Carlo Baldinacci ormai amici del web attraverso il Club2000 con Emanuela e Giancarlo da Fiumicino e Antonio Rossi , anche lui amico di tramite il Club con due suoi amici da Pizzone. Racconti di escursioni, di amicizie comuni costruite sui sentieri, progetti futuri, il conoscersi senza essersi mai incontrati e finalmente dare un volto al nome e suggellare l’amicizia con una stretta di mano. L’atmosfera bella e vera, quella dell’idea su cui il Club2000 si è fondato e appoggiato ci ha regalato il momento più bello della giornata. Non più essere un numero di vette collezionate all’interno di una lunga lista, ma riconoscersi in un pezzetto di quel mosaico che lentamente si è costruito e che ha formato l’idea e la passione che ha cementato più di 700 persone. L’entusiasmo di questo momento ci ha distratto ed è mancata la foto che suggellasse l’incontro. Con Marina riprendiamo il giro, scendiamo dal Biscurri e prendiamo a salire la lenta dorsale fatta di sali e scendi poco elevati, di tappeti fioriti e di rocce spaccate dalle intemperie. Mirko e i suoi amici, con un passo marziale ci hanno nel frattempo seguito e raggiunti, ci anticiperanno in vetta prima di piegare a Nord verso l’Altare. La prospettiva rimane sempre affascinante e per me nuova, come i passi che erano nuovi, non lontani da quelli tanti volte percorsi; mi sono sorpreso quando mi sono reso conto che la dorsale che saliva lenta alla cima del Tartaro confluisse su quella principale Nord-Sud solo sulla vetta del monte stesso. Tante volte da quelle parti, forse le prospettive, forse gli obiettivi diversi, sta di fatto che fin tanto non ci sei sopra non te ne rendi conto. Proprio vero, occorre salire ogni valle, ogni cresta per conoscere il territorio come si deve, esattamente come fanno i pastori. Comunque lenti, superando tratti più ripidi sotto la vetta , composti di un misto roccia ed erba, arriviamo al Tartaro dove bivacchiamo e riposiamo. Marina ha iniziato a sentire fastidi di stomaco e ad accusare stanchezza, non era certo un bel posto per accusare disagi. Ci dilunghiamo sperando che un po’ di riposo giovi alle sue forze e al suo morale che lentamente stava precipitando. Mi dilungo in una serie di foto infinite; gli orizzonti sono luminosi e puliti, è la seconda volta che salgo su questa cima, scatto di certo qualche foto in più di quanto sarebbe sufficiente per ricordare meglio queste prospettive, sono certo che al ritorno mi farà solo piacere averle. All’una esatta con fatica e senza che Marina sia si ripresa gran che riprendiamo a scendere sull’altro versante seguendo la cresta principale verso Sud, verso il Meta. Ripido e fatto di quel misto roccia-prato che non ti fa mai appoggiare bene il piede lo spigolo del Tartaro scende di circa 150 metri; sulla sella nel punto più basso, dove è possibile svalicare verso il piano, Marina decide che non è il caso di intraprendere la lunga salita fino al Meta. Mi faccio convincere che sia possibile separaci , la pagherò in ansia e in frenesia da prestazione fin tanto che non ci ricongiungeremo; lei lentamente a scendere il ghiaione e a tagliare il piano per raggiungere il sentiero di ritorno ed io a proseguire la cresta verso il prossimo obiettivo che più che il Meta, che toccherò per la quinta volta forse più, è il suo Gendarme. Appuntamento al diruto Fortino. Con passo veloce inizio a salire, ricordo questa cresta per averla già percorsa in invernale, il primo tratto erboso, poi roccioso, a tratti stretta, su veri lastroni piatti e grossi blocchi, a tratti scomposta, qualche passaggio in cui occorre prestare attenzione; di tanto in tanto mi fermo per cercare con lo sguardo Marina. Prima lenta lungo il ghiaione, poi la perdo di vista, poi la ritrovo nella comba nevosa, è lenta ma va, continuo a salire veloce, mi rimando indietro la tentazione di rifiatare, lo faccio quando mi fermo per vedere come va in basso. Mi rincuoro, ha fiuto Marina, trova il sentiero che dall’alto è ben evidente tra le dune del pianoro Bisciurri ma che da lì dove è lei deve essere praticamente impossibile da scorgere. Continuo con i polmoni in gola, supero il paio di salti lungo la cresta e mi ritrovo sulle leggere pendenze dei pratoni sotto la vetta. E’ qui, dentro le doline erbose dei piani sommitali, che incontro un piccolo branco di camosci, spelacchiati da far paura, spero sia solo per il cambio di muta. Alcuni si allontanano, altri mi controllano ma non si scostano dalla “cuccia” che si sono creati tra l’erba. Si lasciano fotografare, non mi sento affatto intruso, alla faccia di chi sentenzia proibizioni e aree chiuse all’interno di questo meraviglioso parco. La vetta del Meta è ormai vicina, la raggiungo dopo 35 minuti che ho lasciato Marina, quasi vuota rispetto a pochi minuti prima che la vedevo popolatissima; ci sono solo due ragazzi che si gustano la solitudine e la vastità dell’orizzonte. Il mio è un passaggio veloce, il tempo di un autoscatto e di amareggiarmi di fronte alla storica croce della vetta abbattuta e forse divelta. Un pilastro di cemento abbattuto, i tondini di ferro interni tagliati (non credo che si siano strappati a causa della furia degli agenti atmosferici, tondini da 8 o 10 millimetri non li strappa nemmeno un uragano), la croce, opera di un fabbro artista sconosciuto è riversa tra le rocce mentre la stupidità umana si erge invisibile sulla vetta del Meta. A pochi metri l’altra brutta croce, quella costruita con un’accozzaglia di tondini di ferro da 12 millimetri è in piedi, con questo “pilastro” l’uragano ha potuto fare poco. Riprendo a scendere veloce, i due ragazzi mi avranno preso per un forsennato della montagna, attraverso la cima verso lo spigolo Sud, passi nuovi anche questi, non ne avevo mai sentito il bisogno di portarmi su questo lato. La curiosità era alle stelle, finalmente al cospetto del Gendarme, decantata cima, pericolosa cima da prendere con le molle per molti. Eccolo lì il Gendarme, dal Meta una rotonda guglia, un confuso ammasso di roccia e pietre, là sotto, staccata dalla cresta della montagna madre che precipita verticale. Una più piccola guglia, un rozzo pilastro che si stacca e si isola tra il Meta ed il Gendarme, ospita un camoscio acciottolato su uno sperone di misure minime, imperturbabile si gode una solitudine infinita. Impossibile continuare in cresta, ciottoli instabili e forte verticalità impediscono qualsiasi tipo di approccio, almeno di tipo escursionistico. Un rapido sguardo per capire dove passare, inevitabilmente occorre aggirare lo spigolo del Meta che scende ripido; mi butto dentro il canale ghiaioso che scende verso Passo dei Monaci, è meno ripido di quanto mi aspettassi, risalgo leggermente sul versante opposto , sulle gradinate erbose, è più agevole passare. La fretta si placa, i rischi aumentano, non sarei di aiuto a Marina se mi dovessi mettere nei guai; scendo il canale sul suo limitare e studio l’attacco migliore, non vorrei scendere troppo dentro il canale per dovermelo poi rifare in salita. Scorgo una cengia, o almeno mi sembra tale, una linea che sale intorno al pilastro già citato, la scelgo come via per salire alla sella del Gendarme, spero oltre lo spigolo abbia continuità, questi sono passi davvero nuovi . Attraverso il canale per raggiungerla, in questo tratto si fa più ripido e molto instabile, ritorna solido sulla cengia che però è davvero molto esposta; larga una sessanta-settanta centimetri aggira il pilastro fino finalmente a far scorgere la sella, è l’approccio giusto per superare il primo ostacolo. Oltre fino alla sella il ripido pendio si rifà di quel misto roccia-erba brutto da approcciare con le pendenze che ci sono sotto, i grossi ciuffi d’erba, anche se per pochi metri sono un solido appiglio per procedere sicuri. Non sono difficoltà enormi, cautela e passo sicuro servono, gli appigli ci sono ma non si deve soffrire di esposizione incombente; anche se per pochi tratti la presenza del vuoto si sente. Prima di arrivare alla stretta sella mi ricordo del camoscio appollaiato sullo sperone, ad occhio e croce dovrebbe essere da quelle parti sopra di me; un muso curioso con due cornine ricurve sporge una decina di metri sopra incurante del vuoto. Provo invidia per quella familiarità con quell’ambiente, chissà quante cose si potrebbero fare. Immobile si fa fotografare, sarà un bel ricordo di questo momento, forse più bello ancora della nuova cima che stavo conquistando. A pensarlo adesso, lontano da quel momento sono curioso di sapere cosa girasse dentro la sua testa; i camosci si porranno domande? Se si si sarebbe certo chiesto chi cavolo fossi e che cavolo stavo facendo da quelle parti. In sella l’affaccio è verso il piano dei Biscurri, una ripida lingua di neve riempie il canale fin quasi alla sua base, lo penso come via di discesa per evitare l’aggiramento del Gendarme da Passo dei Monaci; per ora non ho ancora terminato il mio compito, ripongo questa scelta ai momenti che arriveranno da lì a poco. Il Gendarme è ormai lì sopra, una poco accentuata cresta composta solo da enormi blocchi di pietra, di qua e di là esposizioni forti e verticalità; poche sono le possibilità di salita, la cresta non è ampia, ma chi mi ha preceduto ha posto piccole pietre e segnare la via, li ringrazio mentre spedito supero le ultime difficoltà e raggiungo la vetta. Ha ragione chi ha detto che questa vetta va presa con molta attenzione, se si ha esperienza si passa senza grossi problemi ma se questa manca si può passare qualche brutto quarto d’ora. Accortezza a chi del Club 2000 è alle prime armi, sono gli ultimi passaggi a rendere complicata questa montagna, se non si è disinvolti di fronte a spazi ristretti ed esposizioni incombenti sarebbe bene farsi accompagnare. In vetta la tensione si allenta, riemerge nella mia testa la traversata che Marina stava facendo la sotto e le sue condizioni precarie, la cerco con lo sguardo all’interno del piano ma non la scorgo, credo si confonda coi colori della natura o forse è semplicemente la distanza, mi riprende la fretta. Qualche foto veloce ad immortalarmi su questo ammasso di roccia frantumata e riprendo a scendere. Mi impongo la calma, la discesa, la letteratura insegna è più pericolosa della salita. Come se avessi acquisito già familiarità la discesa mi sembra meno complicata della salita, sulla sella mi lascio affascinare dalla discesa nel nevaio; scendo nel canale, la provo, i primi passi sono di quelli che affondano e danno sicurezza ma quando entro nel cuore del nevaio la neve è più ghiacciata. Il pendio è molto ripido, forse sui cinquanta gradi, non ho la piccozza, i tacchi affondano poco ed i bastoncini in questo caso servono a niente. E’ facile essere saggi in questo frangente, ritorno sui miei passi e scelgo la prudenza. Il camoscio si è annoiato di studiarmi, di certo ha pensato fossero cose stupide, non c’è più o si è ritirato in un anfratto più solitario, Passo dei Monaci è laggiù sotto, duecento metri più in basso, a separarci la cengia esposta ed un traverso fino a raggiugere il sentiero che scende dal Meta oppure una roccambolesca ma veloce discesa all’interno del canale. Scelgo questa seconda opportunità, è molto ripido e molto ghiaioso, ma si scende veloci, traversando e riposandomi sui pochi salti erbosi che qua e là sono presenti. In fondo intercetto il sentiero, pochi metri prima lascio metà del bastoncino sugli ultimi metri di una lingua di neve che ho utilizzato per scivolare veloce verso il basso; spaccato di netto mentre cercavo di usarlo come freno. Vabbè l’unico attimo di gioco che mi sono concesso a pochi metri dal piano e c’ho rimesso un bastoncino! Il tratto di sentiero che gira intorno al Gendarme è pietroso ed un po sconnesso, sale e si alza rispetto alla val Pagana sottostante; bellissimo lo sguardo indietro verso il Passo dei Monaci e il monte a Mare, ancora di più il sentiero che gira intorno al Gendarme quando diventa poco più di una cengia. In quel momento, ho deciso che in autunno tornerò da quelle parti, dalla Val Fiorita salirò per la Val Pagana fino al passo dei Monaci, Cima a Mare mi attende, i colori accesi di quei boschi pure, Marina avrà modo di rivedere ciò che oggi ha dovuto perdere. Il traverso del sentiero L1 dallo spigolo del Gendarme fino a scavallare all’interno del piano dei Biscurri è un susseguirsi di pietre franate, di rocce scomposte, non riesco a ritrovare il passo veloce. Poi inizio a scendere, mentre le nuvole iniziano a coprire leggermente il cielo; meno caldo meglio così per Marina che in quelle condizioni ha mangiato e bevuto poco davvero. L’appuntamento era al Fortino diruto, il sentiero fila sotto il monte Miele, una serie di profili ondulati mi impedisce di vederlo. Irresistibile il richiamo della montagna che avevo dietro, di tanto in tanto mi fermo per fotografarla da questa nuova prospettiva, poi riparto veloce. Il Fortino appare lontano, mi avvicino ma non c’è ombra di presenza umana, mentre sto per chiamare Marina a voce alta appare dietro una collina erbosa. Si stava avvicinando al sentiero, aveva da poco finito di attraversare il pianoro, era stanca, sfinita ma anche felice di non essere più sola. Rimaniamo una mezzoretta a riposare, mangio qualcosa, la marcia imposta non mi ha dato tempo e modo di farlo, a dire il vero nemmeno il pensiero. Immagino cosa ci sia nella testa di Marina, il rientro in quelle condizioni di stanchezza avrebbe smontato il più forte dei montanari. Eppure non fa una piega, quello che ha provato l’ho visto e sentito nei suoi occhi e nel suo silenzio, nel paio di soste che ci siamo concessi per cercare di tirar fuori le più recondite riserve. Il bosco sfila lento anche se alla fine impieghiamo solo un’ora ed un quarto ad arrivare alla macchina. Venti minuti arriviamo a Pizzone, per fortuna una stanza l’aspettava, una doccia calda ed una dormita ristoratrice. Dire che lei ricorderà quest’escursione è cosa banale, la bellezza di queste montagne la ricorda fin tanto è arrivata sul Tartaro, poi è stata solo fatica. Ricorderò invece ogni istante di questo anello, le due vette nuove, la seconda, il Gendarme di certo ruvida, tosta e veramente montagna , ricorderò l’incontro con Mirko, Antonio e gli altri, ricorderò i grandi panorami e la decisione di proseguire da soli nella seconda parte del sentiero, la generosità di Marina nell’aver voluto a tutti costi che continuassi fino al Gendarme, la sua forza nel sopportare la fatica del ritorno. Nulla viene per nulla, questa giornata non la dimenticheremo mai.